NOI? PRODUTTORI INCONSAPEVOLI DI VALORE

NOI?

 “PRODUTTORI DI VALOREINCONSAPEVOLI”

uninomade __ metrouniversity labs

venerdì 21 novembre ore 16.30

aula 4 facoltà di scienze politiche (via conservatorio 7, mm1 San Babila)

Christian Marazzi, economista, SUPSI Lugano _ Approfondimento sulla finanza e la crisi

Adam Arvidsson, sociologo, Università Statale di Milano _Sulla funzione del sapere e del simbolico nell’economia

QeA Andrea Fumagalli 

 

Da oltre un mese in tutte lecittà italiane echeggia un coro: “NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO”, sono gli studenti universitari, i lavoratori della formazione, le mamme ed i precari ad urlarlo a gran voce… ma cosa intendono con questo SLOGAN?

Le borse crollano ripetutamente, il capitalismo perde valore, la crisi sistemica di tutti i settori nasce dalle contraddizioni interne al metodo dell’accumulazione, dice l’economista Andrea Fumagalli. 

Per salvare il mondo finanziario (LehmanBrothers, Unicredit, banche inglesi, industria dell’automobile ecc) in poche settimane i governi trovano 4000 miliardi di $ (2 volte il PIL italiano), mentre nel 2002 il piano dell’ONU e della FAO per tentare di rimediare alla fame nel mondo era di soli 30 miliardi… Allora i soldi ci sono? Perché per salvare le banche questi sono immediatamente reperibili? Perché fin’ora i Vincoli del Trattato di Maastricht sono stati sfruttati per tagliare sul welfare ma decadono immediatamente quando sono le banche ad aver bisogno di aiuto?

“I SOLDI CI SONO e  NOI possiamo trovare il modo per spenderli: le cause di questa crisi sono l’iniquità dei redditi e la polarizzazione della ricchezza, per questo possiamo chiedere che parte di questi soldi spesi per il Mondo Finanziario vengano reindirizzati per riequilibrare i redditi e migliorare la spesa sociale, questa è una crisi interna del capitale, una crisi sistemica” conclude Fumagalli.

Prende la parola Christian Marazzi, economista SUPSI Lugano, “Questa crisi di Sistema moltila riconducono alla crisi dei mutui Subprime americani;  in realtà essa è riconducibile alla fine degli anni ’70 con la “finanziarizzazione spinta”,  cioè “il dirottamento dei profitti dell’economia reale nella finanza”, l’eliminazione dell’economia reale per dare spazio all’economia finanziaria; tutto è riconducibile al Post-Fordismo, alla teoria liberista, cioè all’idea dell’autoregolazione dei mercati basata sulla razionalità”. “Questa crisi”, continua Marazzi, “sarà con ogni probabilità molto lunga in quanto è la deregolamentazione dei sistemi bancari e l’idea della razionalità dei mercati che la provocano”.

Come tornare allora all’economia reale? “Purtroppo la finanza è pervasiva, oggi non possiamo comprare una bottiglietta d’acqua senza entrare nella finanza”, spiega, “la finanza si spalma su tutto il ciclo  per questo è difficile tornare all’economia reale, non credo si possa ragionare più in questi termini”.

Secondo Marazzi questa finanziarizzazione è molto diversa dalle passate in quanto ha preso sempre più piede “l’esternalizzazione”, ovvero la produzione di valore all’infuori dei luoghi classici di produzione. Probabilmente nessuno di noi ci ha mai pensato: quando compriamo una libreria all’Ikea e poi a casa la montiamo, noi stiamo producendo; quando al supermercato pesiamo la frutta, noi stiamo producendo; l’Ikea ed il supermercato delegano il consumatore alla produzione di valore, risparmiando in posti di lavoro fissi (costruttore di mobili o adddetto al peso della frutta e verdura) e ci sono altri miliardi di esempi simili. “La finanziarizzazione è l’altra faccia del processo di esternalizzazione”, continua Marazzi, “essa accompagna il blocco della valorizzazione all’interno, è BIOCAPITALISMO, “CROWD SURCING”, vampirizzazione della massa che diventa capitalizzata e che continua a produrre inconsapevolmente”. Per questo motivo è lecito rivendicare un nostro diritto: IL SALARIO SOCIALE.

La parola passa ad Adam Arvidsson, sociologo dell’Università Statale di Milano, che continua la discussione sulla produzione sociale sfruttando in anteprima parti del proprio libro (ancora work in progress) intitolato “THE ETHICAL ECONOMY”. Secondo il professor Arvidsson “la produzione sociale è un trend in continua ed esponenziale crescita: Brand Communities, Viral Marketing, Web 2.0ecc..” La maggior parte degli investimenti delle aziende non sono più nella ricerca o nei fattori di produzione, bensì nella pubblicità, nel tentativo di affezionare il consumatore, nella creazione di gruppi, meetings ed eventi riconducibili alla marca (brand communities); nell’invenzione di idee originali che possono allargare anche in modo esponenziale i consumatori, soprattutto nel web (viral marketing) e nel web2.0, la disponibilità che viene data alle persone di interagire nel web (è importante sapere che poco tempo fa il valore di Facebook era pari al PIL del Perù, ed ora è probabilmente superiore).

“Il consumatore”, dice, “diventa sempre più produttore ma non ne riceve nulla, cresce sempre più la capacità produttiva del sociale: una ricerca in Inghilterra evidenzia come il 58% della popolazione partecipi attivamente alla produzione sociale, mentre in Svezia,  tenendo conto anche del web, la percentuale arriva fino all’83% della popolazione”, insomma, la risorsa intangibile dal post-fordismo ad oggi che è aumentata in modo esponenziale è la Ricerca Sociale: la marca, la cultura dell’impresa, l’affetto all’impresa e la reputazione dell’impresa: semplicemente lo sfruttamento del consumatore per produrre plusvalenze.

Il capitalismo finanziario ha bisogno delle persone per continuare a produrre queste plusvalenze e per questo motivo, ora più che mai, è lecito richiedere un Salario Sociale, un diritto di tutt* in quanto tutt* siamo produttori di valore.

 

Remo Fambri

studente studi internazionali / gruppo stampa scienze politiche 

This entry was posted in Generale. Bookmark the permalink.