contributi a un approfondimento sulla crisi

          C’E’ CRISI: NOI NON LA PAGHIAMO!

                                        contributi a un approfondimento sulla crisi 

 

«Noi
la crisi non la paghiamo!», è il nome comune delle lotte che da più di
un mese attraversano il tessuto produttivo metropolitano, è
l’espressione collettiva dell’onda che, partita dalle scuole e
dall’università, sta contaminando le nostre città.

La
crisi globale è crisi del capitalismo stesso? Il crollo delle borse
mondiali, della speculazione finanziaria e immobiliare continua in
attesa della vera crisi, quella dell’economia reale? Cosa resta del
neoliberalismo dopo decenni di egemonia? La crisi è determinata da
fattori interni al capitale o da un rapporto di forze?

Una
cosa è chiara: il governo della provincia Italia ha risposto tagliando
indiscriminatamente il welfare e il sistema d’istruzione per sostenere
il sistema bancario e per rimediare alla soppressione dell’Ici.

Ma i
soggetti del mondo della formazione hanno lanciato un messaggio forte e
chiaro: questa crisi non può ricadere sulle spalle dei precari, della
scuola, dell’università, della ricerca, della sanità.

Nessuno
vuole pagare la crisi! Nessuno vuole socializzare le perdite di un
sistema in cui la ricchezza è sempre stata spartita da pochissimi.

 

                                                                                    dal primo incontro del ciclo di approfondimento sulla crisi a cura di uninomade e metrouniversity,

                                                                                                             
                                                   21 novembre 2008, scienze politiche

 

 

1) Testi e audio del seminario organizzato da Uninomade / Metrouniversity, a cavallo del movimento dell’Onda : Ciclo di Approfondimento sulla crisi, a cura di Metrouniversity

2) Andrea Fumagalli, " La fine del capitalismo? ", Posseweb.net

"Is
this the end of capitalism?", si domanda l’inserto di The Guardian
dedicato alla crisi finanziaria di questi giorni. Spunta lo spettro del
’29, si propone il tema dell’instabilità strutturale del capitalismo
contemporaneo.

 

3) Andrea Fumagalli, "L’inflazione da finanza e la crisi del settimo anno ", Posseweb.net

Il
quadro macroeconomico europeo e mondiale è in fase di peggioramento. I
fattori di instabilità stanno aumentando. Alle tensioni presenti sui
mercati finanziari si aggiunge l’instabilità dei prezzi.


 4) Christian Marazzi "la moneta e la finanza globale", Multitudes

Tutto
ciò che sembrava delineare un funzionamento normale della finanza negli
anni Settanta è oggi scomparso, e per questo le teorie economiche si
dimostrano obsolete. Negli ultimi decenni, tutto si è trasformato
all’interno della finanza e delle sue regole.

 

 

5) Estratto dell’intervista del collettivo di scienze politiche a Toni Negri, pillola rossa, novembre-dicembre 2007

Oggi,
come identificare la crisi? Da un punto di vista superficiale – di
cronaca – si vede questa fortissima crisi che comincia dal sistema
ipotecario americano e porta giù tutte le previsioni di crescita del
sistema occidentale complessivo. La ragione è la stessa per cui si era
determinata la del ‘29: il capitale offriva di più di quanto la gente
potesse comperare. C’era un’offerta superiore alla domanda. Da questo
punto di vista una cosa sembra abbastanza chiara: sono crisi
pesantissime e sono cumulative. Da migliaia di piccole banche che fanno
i prestiti, la crisi si proietta sulle grandi banche che garantiscono
le piccole, per arrivare alle banche centrali che in maniera più o meno
indipendente controllano l’emissione di moneta, la definizione dei
tassi di interesse ecc. ecc. e quindi le forme e le quantità in cui
devono formarsi gli equilibri della riproduzione del sistema. Ma la
crisi non sta in questo. C’è sotto un rapporto di forze. Esattamente
come nel ’29. Il ’29 è avvenuto fondamentalmente perché i capitalisti
avevano paura della rivoluzione sovietica. Avevano paura e quindi di
fronte a quella che era la richiesta di salario e di ricchezza da parte
dei lavoratori, li concedevano. Solo che il meccanismo capitalistico
non riusciva poi a compensare la domanda. E oggi sta avvenendo la
stessa cosa. Oggi la paura non è più evidentemente quella del
comunismo. Ma è la paura di grandi movimenti, di grandi spostamenti di
potere che si danno. Pensate a quello che significa un’America Latina
indipendente: centinaia di milioni di persone che vogliono che il
petrolio serva per mandare i bambini a scuola, per mangiare
decentemente, per mettere le scarpe. Questi sono spostamenti di
ricchezza e di potere enormi. Siccome la torta è sempre la stessa,
viene tolta ai lavoratori americani e viene spostata verso altri
ambiti. L’unilateralismo americano cosa era se non il tentativo
mantenere questo egoismo di grande nazione, imperiale e egemone sugli
altri?

Ormai
qui si danno situazioni nelle quali i rapporti di potere si
disequilibrano rispetto alle forme di gestione proprie del modo di
produzione capitalistico: c’è l’intera società e non più semplicemente
quelli che lavorano, che chiede denaro, che chiede ricchezza. Perché è
solo la società – e quindi la circolazione di beni materiali e
immateriali, di beni cognitivi e di capacità cognitive – che produce
valore, e quindi chiede di essere riconosciuta in termine di valore.
Questo è l’esodo: la rottura sistematica di tutti gli equilibri che il
capitalismo propone. Sia sullo spazio del comando (nei rapporti
geopolitici generali), sia nell’intensità e nella temporalità del
comando. Nel momento in cui la cooperazione sociale si rende
indipendente dal comando capitalistico non è più il capitale che
determina la cooperazione sociale ma la cooperazione sociale che si
pone in maniera indipendente e contraria al capitale. Più o meno
contraria, in realtà. Spessissimo non in termini politici. Sempre,
comunque, vuole essere pagata. Il sol fatto di voler essere pagata, di
avere degli interessi che gli vanno contro, è l’elemento decisivo. E’
qui che bisogna rimettersi a studiare
Il Capitale. E’ qui che dopo Keynes, contro tutta l’economia neoclassica, risorge il Capitale.
Keynes l’aveva perfettamente capito, quando dice “o noi riusciamo a
regolare in maniera assolutamente continua un aumento della produzione
tale da corrispondere a quello che è l’aumento continuo dei bisogni, a
quella che è la necessaria socializzazione del capitale, o siamo
fottuti”. Lo diceva da un punto di vista capitalistico. Marx diceva lo
stesso: “c’è un momento in cui questo ritmo, questa capacità del
capitale di inseguire i bisogni della classe operaia si rompe,
l’equilibrio si rompe. Quello è il momento in cui la classe operaia può
prendere il potere per sviluppare il lavoro vivo”. Oggi non si tratta
più semplicemente di classe operaia, si tratta di proletariato in
generale, di tutti quelli che lavorano, che vorrebbero lavorare o che
comunque lavorano senza che venga loro riconosciuto salario – questo è
quanto emerge all’interno di questo processo. L’esodo costituente non è
altro che questo. E’ questa rottura. Si può comunque andare ancora più
a fondo nell’analisi dell’esodo costituente. Non più semplicemente dal
punto di vista politico ma dal punto di vista della critica
dell’economia politica. Si possono prendere le formule marxiane della
riproduzione (che prevedono che la forza lavoro sia organizzata dal
capitale e infatti la forza lavoro all’interno del capitale si chiama
kv, capitale variabile) e cominciare a comprendere come questo kv se ne
va dall’unione organica col Kc (capitale costante). Se voi leggete
Marazzi, vi dà degli spunti teorici attorno a queste cose. Nello
sviluppo capitalistico c’è una forza di comando che prende la
popolazione e l’organizza in quanto popolazione produttiva, secondo
delle norme precise. Ci sono norme che vigono nel rapporto tra padrone
e operaio nella fabbrica e ci sono altre norme che vigono nel rapporto
tra stato e società in generale. La produzione di plusvalore, cioè di
profitto nella fabbrica, corrisponde a un certo tipo di controllo, di
disciplina della società. Quando si spacca questo rapporto l’insieme
dei lavoratori, il proletariato o la moltitudine (chiamatela come
volete), se ne va. Questo è l’esodo. La moltitudine comincia a pensare
che i propri valori non siano quelli che il capitale considera primari
per la riproduzione. E queste sono esperienze che noi facciamo nella
nostra educazione sentimentale, nella nostra educazione politica in
maniera assolutamente precisa. Non sono cose molto astratte. Perchè
diciamo che non ci va bene il capitale? Perché produce un tipo società
che a noi in parte piace, in parte non piace. E’ chiaro che ti piace o
non ti piace nella misura in cui tu costruisci collettivamente dei modi
di vita, delle forme di vita che non funzionano nella collaborazione
con il capitale. E lì trovi la rottura.

 

 

6) audio degli interventi del seminario “Crisi della finanza, trasformazioni della democrazia, critica della politica”  organizzato da uninomade che si e` tenuto a Bologna il 12 e 13 settembre di quest’anno. Tratto da Uniriot.org:
Alcune
ipotesi interpretative per analizzare una crisi che non è solo
finanziaria, ma della globalizzazione, del capitalismo neoliberale così
come lo abbiamo conosciuto fino ad ora. Una crisi tutta nuova rispetto
a quelle che si sono succedute negli ultimi 25 anni perché appare come
una crisi di sistema, che mostra la inefficacia degli aiuti
straordinari che si ripetono in questi mesi. Una crisi della finanza i
cui effetti ricadono immediatamente sulla cosiddetta economia reale, e
che dimostra come la finanziarizzazione non sia altro che la nuova
articolazione del comando nella ristrutturazione della economia
cosiddetta industriale. Questo seminario ci consegna una urgenza: non
solo quella di individuare nuove categorie economiche e politiche per
leggere la globalizzazione oggi, ma anche e soprattutto l’urgenza di
ripensare ad un nuovo welfare, ad un nuovo new deal.

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